CAPONAPOLI / 1A

Caponapoli, chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, è al centro dell’antica acropoli greca nella quale flussi pittorici e video proiezioni immersive di corsi d’acqua si intersecano all’architettura e agli scavi archeologici. L’inchiostro e le luci proiettate seguono un andamento ascendente e rotatorio rilevato da una inedita e personale rilettura dell’iconografia della chiesa, nell’altare di Girolamo Santacroce, nelle tracce rinvenute sull’arco in piperno. Una riflessione sulla qualità di uno spazio sacro, profanato nei secoli innumerevoli volte da furti efferati e cataclismi. E il tempo, inteso nella sua accezione sia storica che cosmica.

La chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli:

dalla Neapolis ad oggi

di Edgar Fiore

La chiesa di Sant’Aniello – o più correttamente Sant’Agnello Maggiore – risiede, con le centenarie metamorfosi storiche e geografiche che l’hanno investita, sulla collina di Caponapoli sin dal VI secolo. Nel punto più alto della città greca, per l’appunto Capo Napoli, trovava posto un’antica edicola dedicata alla Vergine considerata miracolosa dal popolo napoletano. Secondo l’agiografia, nel 535, Federico Poderico e la moglie Giovanna, due nobili partenopei ma di origini siracusane – probabilmente imparentati con Santa Lucia – chiesero in grazia all’icona mariana il concepimento di un figlio, che venne alla luce col nome di Agnello (535 – 596).

A seguito del prodigioso evento, l’immagine sacra venne rinominata Santa Maria Intercede e glorificata con l’edificazione di una piccola chiesa.
Il santo, secondo alcune fonti, sin da giovane visse da eremita in una grotta dedicata alla Madonna e, successivamente tra le mura della chiesa eretta in onore della citata icona.  La devozione nella figura di Agnello si affermò con forza già negli anni in cui il santo era ancora in vita, sicché i napoletani chiesero al Santo protezione contro l’invasione longobarda del 581. Scacciati gli invasori brandendo nella mano destra il vessillo della croce, suo attributo iconografico, Agnello fu evocato post mortem dalla popolazione a difesa dai Saraceni; diventando quindi compatrono della città di Napoli.

Secondo la tradizione, appena le reliquie del santo vennero sepolte all’interno della chiesa, Agnello apparve ai suoi concittadini al centro di “un’iride a sette archi” che aveva il suo fuoco al di sopra dell’edificio. 

Nel 1517 la piccola chiesa di Santa Maria Intercede vide un primo ampliamento, promosso dal Vescovo di Taranto Gianmaria Poderico ( ? – 1524) divenendo un simil transetto della nuova chiesa che verrà intitolata Sant’Agnello Maggiore.
Dopo vari spostamenti, il sepolcro del vescovo trova oggi posto all’ingresso principale della chiesa.  L’edificio ha visto vari rimaneggiamenti, segnanti quelli del 1781, ed una serie di depredazioni e perdite significative. In particolar modo, ingenti sono i danni dovuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che hanno miracolosamente risparmiato l’altare maggiore con la bellissima tavola, in mezzo rilievo, di Girolamo Santacroce (1502 – 1537), datata 1517-1520.  L’opera raffigura la Madonna delle Grazie tra San Cataldo, in atto di presentare il committente Giovanni Maria Poderico, e Sant’Aniello che presenta un personaggio inginocchiato nell’atto di offrire un bambino alla Madonna. La pala ricca di virtuosismi è vero trait d’union con la “Maniera Moderna” romana – che ebbe scarso seguito a Napoli – e trova in questo caso un consolidamento, fisico e metaforico, nel prezioso marmo.

Se il modello principale è senza dubbio la Madonna di Foligno di Raffaello (1483 – 1520), il confronto diviene stringere guardando la Madonna del Pesce (già nella Chiesa di S. Domenico Maggiore di Napoli, ora al Museo del Prado di Madrid) dell’artista urbinate. 

La chiesa, dopo il restauro conservativo del 1962, ne ha visto uno – realizzato secondo canoni più moderni e con la sinergia delle diverse Soprintendenze – che ha permesso la riapertura al pubblico e, approfittando del crollo della pavimentazione lungo la navata centrale, ha messo in evidenza tratti delle mura greche del IV sec. a.C e romane del II sec. d.C., nonché tombe a fossa del periodo altomedioevale. L’efficace lavoro di restauro ha quindi di valorizzato la millenaria stratificazione storica attraverso la creazione di un vuoto nella navata centrale contornato, mediante un gradino intermedio, da una passerella continua in vetro strutturale collocata lungo il perimetro interno. Attualmente l’edificio è affidato in gestione a Legambiente.